Un paio di premesse: sono stata per anni un’avida lettrice di “manuali d’aiuto per genitori e prole”, soprattutto durante il periodo della gravidanza e dei primi anni di vita di mio figlio. Ne ho trovati vari interessanti e utili, anche se, alla fine dei conti, sono arrivata serenamente a condividere una massima sentita anni dopo da una amica (non italiana) qui a Zurigo:
“Ci sono bambini per cui hanno scritto libri e per i quali, se applichi i principi, tutto funziona perfettamente. Ci sono poi altri bambini per cui i libri ancora non sono stati scritti”. (credits M.C.) AMEN.
Alla luce di ciò sono ormai mooolto scettica su qualsiasi ricetta magica e ho di conseguenza diradato parecchio questo genere di letture. Ho comprato “Il metodo danese” dietro richiesta del Marito che, dopo aver molto letto sulla stampa che in questi mesi ha dato ampio spazio alle recensioni, mi ha detto “lo voglio leggere“. Alla fine l’ho letto prima io
E’ un testo assolutamente easy, con un po’ di tempo a disposizione si legge di filato in poche ore, lo stile è molto anglosassone, comprensibile e pragmatico, sicuramente non un capolavoro di stile letterario, ma non serve ovviamente a questo.
Vorrei esprimere alcune mie impressioni, senza entrare nel merito di tutti i contenuti del libro che, comunque, ritengo offra interessanti spunti di riflessione non solo dal punto di vista dell’educazione dei figli, ma anche su un certo tipo di cultura e di stile di vita sui quali credo che anche in Italia servirebbero serie considerazioni.
Ciò detto, a grandi linee e semplificando al massimo, il contenuto della trattazione è un impietoso paragone tra la cultura statunitense e quella danese dal punto di vista di educazione, obiettivi personali e sociali, nonché modi di vita riferiti in particolare alle famiglie con figli. Ormai da decenni la Danimarca è considerata uno dei Paesi “più felici al mondo” (inutile dire a che punto della classifica si trovino gli USA, nonostante il loro diritto alla felicità costituzionalmente garantito) e le autrici hanno provato ad indagare nel dettaglio alcune ipotesi per spiegare questo risultato.
1. In Danimarca i bambini vivono da bambini: vengono lasciati giocare, il più a lungo possibile e all’aria aperta, non vengono forzati a svolgere un numero spropositato di attività extrascolastiche, tanto meno allo scopo di essere riconosciuti come “i migliori, o i più bravi degli altri”;
2. Non vengono forzati a imparare a leggere e a scrivere prima del tempo e sono educati sin da piccolissimi a gestire i conflitti interpersonali in modo autonomo, senza l’intervento degli adulti. Nello stesso tempo, anche in ambito scolastico, viene dato grande rilievo all’educazione all’empatia e ai programmi di prevenzione dei fenomeni di bullismo;
3. Non vengono lodati in continuazione (e spesso a sproposito) per qualsiasi sciocchezza facciano: in Danimarca l’umiltà (anche per i più bravi) è considerata una dote importantissima, viene loro insegnato che la cosa più importante della vita non è il talento innato, ma la capacità di sapersi impegnare per imparare;
4. Il “noi” viene sempre prima dell’ “io”: l’educazione al gioco di squadra e alla prevalenza dell’interesse collettivo rispetto a quello del singolo individuo è connaturata nella società, il livello di conflitto sociale rimane così molto basso, in considerazione del fatto che i bambini imparano a non giudicare in modo assoluto gli altri, avendo le competenze anche per relativizzare la gravità di presunti torti presunte ingiustizie subite;
5. I bambini vengono educati sin da piccoli ad imparare ad affrontare la realtà in modo non edulcorato e fittizio: nella tradizione danese sono importantissime le favole e in generale tutte le narrazioni non a lieto fine (versione originale della “Sirenetta” vs. cultura Hollywoodiana imperante, dove tutto deve per forza finire bene), così da far comprendere gradualmente, e in modo adeguato all’età, che non si può e non si deve essere “felici per forza”. Nello stesso tempo, la cultura danese possiede in modo quasi innato la capacità di vedere i lati positivi anche di situazioni non gradevoli.
C’è anche dell’altro, naturalmente, ma questi a me sono sembrati i contenuti più significativi. Se siete curiosi del resto, leggetelo…
“In Danimarca non si pone l’enfasi solo sull’istruzione e sugli sport, ma piuttosto sul bambino nella sua interezza. I genitori e gli insegnanti si concentrano su cose come la socializzazione, l’autonomia, la coesione, la democrazia, l’autostima. Vogliono che i loro figli imparino la resilienza e sviluppino una bussola interna forte che li guidi nella vita. Sanno che riceveranno una buona istruzione e acquisiranno varie competenze. Ma la vera felicità non deriva solo da una buona istruzione. Un bambino che impara a gestire lo stress, che si fa degli amici, e che è sempre realistico nei confronti del mondo acquisisce una serie di capacità per la vita che sono tutt’altra cosa rispetto all’essere un genio della matematica, per esempio. E tali capacità, per i danesi sono quelle che riguardano tutti gli aspetti della vita, non solo quello lavorativo.”
Questo post partecipa a: “Il venerdì del libro” di Homemademamma.