Non ricordo al momento chi fosse l’autore della celeberrima “legge di Murphy“, ma in ogni caso si tratta di un genio. Statistiche di una (quasi) settimana delirante.
Premessa: marito fuori dai confini della terra d’espatrio per motivi di lavoro, per ben quattro giorni pieni e tre notti.
Prima notte (lunedì): trascorsa praticamente in bianco causa urli disperati della Creatura che si rifiuta di esplicarne il motivo, se non dietro minaccia credibile di tortura: improvviso e inspiegabile mal di testa di quattrenne, già addormentato peraltro, che impone il subitaneo utilizzo del Nurofen.
Martedì: risveglio (suo) quasi idilliaco, allarme (quasi) rientrato. Solita routine congestionata “Alzati, lavati, vestiti, bevi il latte, andiamo a scuola“. Tram preso per la coda solo perché c’era parecchia gente che si attardava nel salire. Signora gentile che mi guarda e mi dice “Vuole sedersi?” “Grazie, ma non c’è problema”. “Si sieda”. Si è seduto lui. Le due ore di tedesco mi sono sembrate una boccata d’aria. Ritiro del figlio come da programma, niente da segnalare. Tiro un respiro di sollievo. Notte tutto sommato tranquilla, un po’ di catarro incipiente, ma nulla di allarmante, salvo un’ultima frase prima di addormentarsi “Non sento bene dall’orecchio“. Allarme.
Mercoledì: risveglio nella media, sembra tutto sotto controllo. “Ancora non sento bene dall’orecchio”. Ok, fammi vedere…..“Hai male? “No” Si va a scuola, avviso la maestra di chiamarmi se nota qualcosa di strano in zona orecchie. Tutto tranquillo “no news, good news“. Andiamo a casa, merenda, giochi vari, ecc. ecc. il buio ci sorprende sempre prima, così come una tosse feroce che si accompagna a ripetuti starnuti, naso chiuso e colante. Ri- ahia. “L’orecchio?” Tutto a posto “Stamattina mi è uscita una crosticina e adesso ci sento bene”. Uhm….Cena alle 18.30, presto, molto, se no mi si addormenta sul piatto. A nanna alle 20. Me ne vado a dormire presto anch’io, con un certo presentimento. A un’ora dall’addormentamento si ripete la scena di quarantott’ore prima: urla, pianti, strepiti, disperazione profonda e inconsolabile. Nessuna spiegazione. Rifiuto totale di spiegare perché, cosa fa male, quanto. Interminabili ore così. Il Nurofen arriva d’ufficio, sparando nel mucchio, anche perché mi pare d’aver intuito che il problema sta sempre dalle parti alte, non la testa in verità, quanto nelle famigerate orecchie. Viene mezzo sputato, sul pigiama che così resterà per il resto della notte. La situazione un po’ migliora, io esasperata che dormo fino alla sveglia delle 6.30 con metà cervello sveglio, e l’altra metà che ripete, mio malgrado, vocabolario, verbi e declinazioni in tedesco.
Giovedì: priorità massima il medico. Controllo delle orecchie, ma lo studio apre alle otto. Priorità successiva è scrivere alla collega che non posso andare a lezione e chiedere che mi mandi poi i compiti per la prossima settimana. Non mi reggo in piedi, ho i brividi, male ovunque, venderei mia madre per potermi rituffare sotto il piumone, chiudere gli occhi e buonanotte mondo. La disperazione è tale che decido di tentarela telefonata al medico in tedesco: follia da insonnia forzata, tanto, mi dico, peggio di così non può andare. Stranamente, invece, va a meraviglia, con la segretaria che non ho mai sentito così gentile e solerte. Resta da svegliare la Belva dormiente e portarla fino là.
Mi sono detta una serie di cose: che quello della legge di Murphy era un genio. Che, però, ci sono stati tempi in cui, con giornate così, dovevo pure far finta di niente, alzarmi e andare al lavoro per infinite ore a seguire. Magari anche sorridendo. Che in quei tempi sono diventata molto previdente (anche un po’ paranoica), per cui lunedì avevo riempito il frigo e sbrigato tutto lo sbrigabile per essere pronta a fronteggiare il peggio. Che in questi giorni avrei comunque avuto amiche che potevano fare la spesa per me, o darmi in qualche modo una mano nell’emergenza. In quei tempi ero sola, e lo ero per davvero.